lunedì 23 gennaio 2012

VIAGGIO ASTRALE A PAPEROPOLI - seconda puntata

Il mio terzo e ultimo viaggio fu anche quello più lungo e importante. Avvenne però non subito dopo, anzi passarono diversi giorni. Cercai diverse volte il mio amico al cellulare e su facebook, senza averne traccia, però sul momento non mi preoccupai, perché non ci sentivamo tutti i giorni e lui aveva l'usanza di apparire e scomparire a periodi.

                   (n.d.a. facebook è scritto volutamente sempre in minuscolo)

Fu nel corso di una svogliato sabato mattina, mentre sorseggiavo il mio solito Nescafé e pensavo a tutt'altro, che mi apparve Archimede Pitagorico, a ricambiare la visita. Non era proprio in viaggio astrale, perché lo vedevo distintamente, sembrava un ologramma, una delle sue mille invenzioni sicuramente.
"Carissimo, ma che piacere la tua visita! Posso offrirti un camparino, un gingerino, un whiskino, uno champagnino, due uova col bacon, due tartine col caviale e salmone, un light brunch con dei voulavant a la soupe d'oignon avec les champignons brulés???"
"No, grazie, vado di fretta, non prendo niente"
"Mi è andata di culo perché in frigo avevo solo una bottiglia di minerale di due anni fa mezza vuota, un uovo sodo della Pasqua 2004 e un pezzettino di burro così vecchio che ormai la muffa ci ha fatto sopra le piantine."
"Non perdiamo tempo, Andrea, il tuo amico è in pericolo!"
"Cosa?"
"Nel suo ultimo viaggio è rimasto incastrato in un piano astrale intermedio, quello che avevi rischiato anche tu l'altra volta, e non riesce più a tornare!"

Archimede era certo un tipo pragmatico, non perdeva tempo, infatti mi ritrovai a Paperopoli prima ancora di riuscire a rispondere, ancora con la mia tazza di Nescafé in mano. Ora eravamo di fronte al negozio-laboratorio di Archimede, mi chiesi perché ci eravamo trasferiti fuori, e non dentro, ma ebbi subito la risposta voltandomi. Avevo visto qualcosa di simile nelle storie di zio Paperone, ma in quei casi la vettura era guidata da Battista, l'ineffabile maggiordomo, una sorta di automobile per muoversi nel tempo oltre che nei vari spazi e dimensioni, che ricordava il film Ritorno al Futuro, e viceversa.
"Saliamo subito a bordo, l'unica cosa che mi preoccupa sono le condizioni meteo, quando cominceremo a muoverci nel tempo invece che nello spazio,  il vento e/o la pioggia potrebbe portarci su piani astrali e temporali diversi da quelli che vogliamo. Possiamo dunque dire che se non si alza il vento, la situazione è sotto controllo."
"E se si alza il vento", aggiunsi io, mentre salivo sullo strano veicolo "... sono caaaa........."
Il resto della frase si spense nelle mie labbra, Archimede mi guardò storto, mi ero dimenticato che a Paperopoli, se c'era un senso dell'umorismo, era molto diverso dal nostro, o meglio dal mio.
 Istintivamente, mi ero messo sul sedile del passeggero, stavo già cercando la cintura di sicurezza, che non c'era proprio, quando mi accorsi che Archimede mi guardava fisso.
"Ok, Archimede, prometto che non ne dico più..." poi capii.
Dovevo guidare io.
Ora, io non guido, la patente ce l'avrei ma non guido quasi mai l'automobile normale, figurati quella. E poi non ci avevo fatto caso subito, però guardandola meglio lo realizzai. Era una versione a quattro posti, con cappotte, più allungata dell'auto di Paperinik.
"Io non posso guidare, non ho la patente.", mi spiegò sbrigativo Archimede.
Mi vennero in mente quei cortometraggi di Stanlio&Ollio, quando Ollio guarda verso la cinepresa in maniera eloquente.
"Io non ho dietro la mia, non ho neanche il portafoglio con me, mi hai prelevato al volo, e poi anche nel mio mondo non guido mai, è come se non ce l'avessi."
"Per te è diverso, tanto sei sempre con me, se ti fermano per chiederti documenti, patente o biglietti ti faccio ritornare subito al tuo mondo."
Capito. Va bene, facciamolo.

Mi accorsi che guidare a Paperopoli era facile, divertente e scorrevole, come guidare le automobiline degli autoscontri, non c'erano le marce ed era un piacere muoversi, era come andare in bicicletta, mi abituai subito ell'esperienza e la trovai spassosa, infatti per il resto dell'avventura che vado a raccontare mi limitai a fare da autista, credo che se qualcuno avesse voluto prendere il mio posto lo avrei morsicato ad una mano, pardon ad una zampa.
"Andiamo alla casa di Paperino, Andrea."
"Ok"
"Ma come, vedo che conosci la strada!"
"Certo, ci sono stato nel viaggio astrale precedente, poi io ho un senso dell'orientamento pazzesco, tranne quando vado a Roma, là mi perdo sempre :-)"
Avete visto che alla fine della mia frase ho messo un emoticon, lo smile? :-)  ebbene... in quel mondo folle gli emoticon apparivano, era difficile da spiegare, era come quando in Pulp Fiction Uma Thurman disegna un rettangolo con le dita e il rettangolo si vede, era una cosa così.

Ma proseguiamo, in tutti i sensi. Come già spiegato, Paperino e Archimede abitano assai vicino, l'altra volta ci ero andato a piedi, figuriamoci in macchina, e con la macchina di Paperinik, e poi a Paperopoli senza mai traffico. Insomma, non ci fu tempo nemmeno di scambiare due chiacchere, a parte una domanda che mi fece Archimede:
"Sai, dopo il tuo ultimo viaggio da noi sono andato a curiosare su di te, ho letto il tuo blog e i tuoi racconti, anche quello che parlava di noi, e ti ho trovato facilmente su facebook.
Volevo tanto chiedertelo......      ma perché metti la foto del pinguino???".
La mia frenata dinanzi alla casetta a due piani di Paperino fu un tantino più brusca del normale.

Stavano ad aspettarci, lui e i tre nipotini. Altro dettaglio che nei fumetti mi era sempre sfuggito è che loro, essendo appunto dei paperi, delle anatre, delle galline o dei cani, non si salutano stringendosi la mano, abbracciandosi o dandosi bacetti. Si salutano e basta, rimanendo a distanza. Fu emozionante per me vedere Paperino per la seconda volta, ma sopratutto incontrarlo, parlarci, salutarlo. Questa volta era simpatico, allegro come nei fumetti, l'altro giorno doveva essere davvero in un momento storto, ma a chi non capita di esserlo? Più freddi con me, o meglio intimiditi, Qui, Quo, Qua, nelle storie sempre così spavaldi, invece erano dei bravi ragazzi molto educati e silenziosi, che si accomodarono subito sul sedile posteriore, mentre Paperino parlava con Archimede nella loro lingua ostrogota, per non farsi sentire da me. Mi ritrovai a pensare al famoso Manuale delle Giovani Marmotte, mi chiesi se i tre paperini l'avevano con loro, mi sono sempre chiesto, e non solo io, come faceva in un manualetto così piccolo a essere scritto tutto, su qualsiasi argomento, "lo scibile umano", avrebbe detto Cartesio.  Il manuale della Mondadori che era uscito negli anni '70 era una presa per i fondelli di noi bambini dell'epoca, anche se divertente, conteneva qualche istruzione per montare una tenda o cuocere un uovo sodo, invece quello che avevano loro era ben altra cosa, secondo me era un collegamento a Internet, una sorta di i-pad camuffato da libro, cercavano le informazioni su Google o Wikipedia. Altri, tra cui il mio amico al momento sparito, dicevano che i tre si inventavano le cose di sana pianta facendo finta di leggere sul volumetto, per quello poi davano sempre informazioni sbagliate e Zio Paperone si incasinava sempre nei suoi viaggi. Li vedevo così a disagio, piccolini e diffidenti nei miei confronti che rinunciai a fare loro ogni domanda, preferendo rivolgermi a Paperino, mentre Archimede a sua volta si era silenziosamente immerso nei suoi pensieri. Paperino mi faceva da "navigatore" attraverso Paperopoli, seguendo le sue istruzioni e con la mia facilità di guidare quella macchinina giocattolo, ero un perfetto autista per loro.

Dal quartiere residenziale verdeggiante dove abitavano Paperino e Archimede e dove si trovava il deposito di Zio Paperone, ci dirigevamo verso il centro di Paperopoli, stavamo tornando nel punto dove avevo incontrato il mio amico nella puntata precedente, da dove egli mi aveva ricacciato bruscamente a casa mia. Tra di loro i paperi parlavano nella lingua impossibile che dicevo, ma con me, usando il dispositivo inventato da Archimede, si parlava in italiano, anche se era un italiano strampalato, che ricordava le traduzioni automatiche di Google, con l'aggravante di un accento milanese-bresciano-bergamasco buffissimo, dovuto all'impostazione regione selezionata: "lombardia". Come quando capita di conoscere di persona un attore o un regista importante, avevo mille cose da chiedere a Paperino, ma banalmente, mentre guidavo, gli chiesi solo: "E Paperoga invece dove abita? In un'altra zona?". Paperino non mi rispose, cambiò subito discorso, non volli insistere, come quando chattando su facebook si toccano tasti sbagliati. Devo dire che lo stralunato Paperoga, ancora più di Paperino, è forse il mio personaggio preferito della banda. Certo, gli amici dicono che Archimede Pitagorico, per il gilet che spesso metto e per tante altre cose, potrebbe essere il mio alter ego, però, adesso che era accanto a me pensieroso sul sedile passeggero.. no, era troppo serio, anzi serioso.

E così arrivammo alla pasticceria, all'agenzia di viaggi, dove mi ero fermato la volta precedente. Avevo visto arrivare Topolino e Pippo, mi sembrava di avere intravisto Basettoni, poi basta. E in quel momento, il mio amico, salvando me, era rimasto intrappolato in un piano astrale intermedio tra Milano e Paperopoli.

"Scusami, Archimede, ma quando piove come fate?", dissi ad Archimede, mentre parcheggiavo con un'abilità che mi sorprese.
"Perché?"
"Cioè, le macchine sono tutte decapottate, quando piove come fate?"
Archimede mi guardò storto. "Quando piove le auto rimangono in garage e noi andiamo a piedi! Ma guarda che tipo! Tsk!" e si allontanò sprezzante, andando a incontrare Topolino.
"Ok" pensai tra me e me.

E  rivolgendomi a Paperino, gli dissi che mi era venuta una gran fame.



                                                       2 - continua??

               
                                                                (di Andrea Daz  - inedito, solo online)

VIAGGIO ASTRALE A PAPEROPOLI - prima puntata

Voglio ora raccontarvi di dove sono stato l'altro pomeriggio, dovete sapere che da qualche tempo ho preso l'abitudine di fare dei viaggi astrali, seguendo l'insegnamento di un mio amico maestro di yoga, ma lo faccio solo prima di dormire, di solito vado a Firenze, la scorsa estate andavo spesso a Roma, per un motivo che spiegherò più avanti. Non è difficile: devi scegliere un posto che già conosci, e scegliere la strada da dove si vuole iniziare, è come seguire un percorso su Google Street View, solo che si va molto veloci, senza rischio di cadere o farsi male. C'è chi si smarrisce, ma a me non è mai successo, forse perché lo faccio prima di addormentarmi, e poi scivolo in un sonno profondo e felice.

Più difficile è stato il mio ultimo viaggio, mentre mi annoiavo sul divano pensavo che mi sarebbe piaciuto entrare nei fumetti di Topolino, o meglio di Paperino. In fondo, è un mondo che conosciamo tutti, ci è familiare, però non è facile identificarlo. Paperopoli appare come' una città di media grandezza, che nelle storie americane di Carl Barks ricorda la Chicago o la Seattle degli anni '40, ma nelle storie italiane, quelle che tutti leggiamo, è simile a Milano, la città dove il giornalino viene creato, ma con importanti differenze. Una cittadina immersa nel verde e contornata dalle montagne, nello stesso tempo non lontana dal mare, in certe storie si intravede un porto che sembra quello di New York. Il deposito di Zio Paperone è su una collina sovrastante la città, visibile da tutti, la villetta dove abita Paperino è molto vicina, in quanto egli, in diverse storie, ascolta le urla dello zione, e spesso lo raggiunge di corsa o ne è raggiunto. Vicino al deposito di Zio Paperone, c'è un parco dove il suddetto si reca ogni mattina a fare la passeggiata, questo parco assomiglia spudoratamente al Parco Sempione.  Escludendo tutte le città del Centro-Sud e del Nord-Est, che hanno una struttura molto tipica, potrei dire che Paperopoli è stata ideata come una Milano o una Torino più piccola e più verdeggiante, ma con qualcosa di Genova nella la zona portuale. Inoltre Amelia la fattucchiera, che vive sul Vesuvio, spesso va a fare visita al deposito di Paperone, usando la scopa come una freccia rossa, si suppone che non sia così lontana. 

Approfittando di quello stato di torpore estivo in cui i pensieri vanno in letargo, quell'essere assonnati senza dormire, mi concentrai su di una storia di Paperino. Devo dire che, come tanti, ho sempre preferito Paperopoli a Topolinia, immagino la seconda come una città frenetica, ostile, quella davvero più simile a Milano o a New York, per un viaggio di piacere come il mio volevo qualcosa di confortevole, bucolico. Non fu così difficile partire, ci sono riuscito solo al terzo tentativo, considerando che la prima volta mi hanno citofonato e la seconda mi sono distratto con associazioni d'idee. Per scegliere il punto dove atterrare e cominciare il viaggio, ho scelto la strada davanti alla casa di Paperino, ho pensato che con Paperino non avrei mai avuto problemi. Quello che sopratutto mi confuse, al mio arrivo, fu quanto di più banale si potesse credere, ma a cui nessuno o pochi hanno fatto caso. Sono dei paperi. Tranne Archimede Pitagorico che non è un papero, è sempre un uccello di terra, di un'altra razza. A Topolinia sono dei cani e dei topi, ma quelllo è un altro mondo. 
E così la loro città è piccolissima, in miniatura, per l'abilità dei disegnatori che la inquadrano strettamente, usando tecniche simili ai film di fantascienza, dove modellini di navi e di aerei si muovono dentro vasche da bagno mentre noi crediamo che siano in grandezza reale, i bambini e gli adulti che leggono le loro storie le vivono rapportandosi alla città o al paese dove davvero vivono. Come in quei villaggi dove è rappresentata l'Italia o il mondo in miniatura, potevo tranquillamente vedere tutta Paperopoli davanti a me. Le distanze non erano quelle che avevo previsto: ci avevo preso con la vicinanza della casa di Paperino al deposito di Paperone, ma questo solo perché mi ricordavo di una storia dove il nostro si svegliava al sentire delle urla di dolore del suo isterico zione, come a me succedeva quando abitavo, da bambino, molto vicino allo stadio di San Siro e sentivo i boati di felicità dei tifosi quando veniva segnato un goal. Su altre distanze, invece, mi ero proprio sbagliato: rapportandola su scala, Paperopoli era minuscola nelle dimensioni, ma di un'estensione enorme. La villetta di Paperino era in una zona periferica alle soglie della città, come il deposito sulla collina e la casupola-officina di Archimede. In questa zona, che in Lombardia sarebbe stata un quartiere di ricchi, c'erano delle villette a grandi distanza l'una dall'altra, separate ognuna da delle siepi, degli alberi, attraversate da delle strade comode, larghe, dove passavano pochissime auto. Ricordo che nel viaggio astrale, gli abitanti non ci possono vedere, per fortuna mia perché se no si sarebbe creato l'effetto Gulliver, sarei stato un gigante invasore e avrei precipitato la cittadina nel caos, per poi a mia volta fare una brutta fine. 
Era un pomeriggio d'estate pure a Paperopoli, e, trovandomi nella strada di fronte alla villetta, la mia curiosità era quella che chiunque avrebbe avuto: vedere Paperino dal vivo! Mentre mi avvicinavo alla sua casa, sempre nel solito modo di muoversi dei viaggi astrali, stando perfettamente fermo con il corpo, ma muovendomi su di un tragitto predefinito, come portato da scale mobili invisibili, riflettevo su quanto era strana l'esistenza di quel posto: dei paperi che guidano delle piccole automobili, vanno al lavoro, hanno problemi di soldi, vanno in vacanza e se non ci vanno si scocciano. Dei paperi che hanno delle casette in miniatura dove cucinano frittelle, studiano e lavorano, telefonano, guardano la tv... Dopo essere passato dal giardino deserto, entrai nella villetta di Paperino, riconoscendola con piacere: tipica villetta a due piani, all'americana, come quella della famiglia di Happy Days, una cucina, un grande salotto, una sala più piccola, al piano superiore le camere da letto... per essere un disoccupato squattrinato, Paperino viveva come un borghese italiano, è vero che tutto era pagato dallo Zio Paperone. Vidi il divano, dove Paperino spesso amava passare i pomeriggi, vicino al divano il telefono col quale iniziavano le sue avventure. In casa non c'era nessuno, forse erano tutti al deposito oppure in qualche avventura esotica. Rimasi colpito dall'ordine e dalla pulizia della casa, per essere un pigrone casinista Paperino teneva la sua abitazione ottimamente, o forse aveva qualcuno che passava a fargli le pulizie... quando li sentii tornare.

Irrazionalmente, fui preso dal panico, di solito nei miei viaggi astrali andavo per le città, oppure se entravo nelle case lo facevo da persone che conoscevo e che mi volevano bene, come la mia ex-fidanzata che spesso andavo a trovare nel suo bilocale a San Giovanni e che in qualche modo, forse per stregoneria femminile, percepiva la mia presenza quando mi sdraiavo di notte sul materasso accanto a lei, una volta mi ha pure parlato... ma non divaghiamo. Dicevo che non potevano vedermi, quindi non c'era modo di essere spaventati, in fondo quante volte siamo tutti entrati in casa loro leggendo il fumetto, ma spaventato non è la parola giusta, diciamo emozionato,  finalmente li avrei visti. E poi, come parla Paperino? Nei cartoni animati, fa quei versi che tutti imitano, ma nei fumetti parla, si esprime come una persona, forse non dice mai cose di grande intelligenza, ma parla normalmente. Sentii parcheggiare la macchina, la 313! girare la chiave di casa ed entrare, mentre parlava con i nipotini. Le dimensioni appunto. Avete mai pranzato sul lungolago, quando le anatre salgono sulla riva e vengono a mendicare qualcosa da mangiare da voi? Ecco, le dimensioni erano quelle, quattro paperotti, uno grosso e i tre pargoletti, però parlavano... non facevano versi, capivo che parlavano, però non in italiano, era una lingua loro. Paperino, sempre molto ordinato, appena entrato si tolse il berrettino da marinaio e lo appese ad un'ancia dell'armadio a muro. Dovevano avere litigato, perché i tre paperottini corsero al piano di sopra. Paperino come al solito era incazzato e parlò da solo per qualche tempo, poi andò in cucina. Era proprio lui, come mi dispiaceva non poterlo salutare, non potergli parlare!  Ed era piccolino, un animaletto, se avessi avuto fisicità avrei picchiato con la testa sul soffitto della sua bella casa. Forse ero passato in un momento difficile, ma mi sembrava meno simpatico di come tutti se lo immaginano, inoltre mi sembrava molto autoritario con i suoi nipotini. Seguii invisibile in cucina, mentre cucinava con la sua nota maestria notai che continuava a parlare da solo, ma come se stesse parlando con qualcuno. Erano i suoi monologhi del resto, che in un fumetto non sembrano strani, come non sembra strano che un papero stia cucinandoo un pollo con le patatine e aromi vari. In effetti, erano molto americani, ora che c'ero dentro, altro che Milano, mi ero proprio sbagliato. Villette a due piani divise dalle siepi, classi sociali ben distinte, stile di vita rigido... USA. Però, l'amore col quale stava preparando la cena ai suoi nipoti contrastava con i suoi modi incazzosi. Suonò il campanello, e uno dei nipotini, il paperotto col berrettino blu, credo, perché ora in casa erano senza berretto, corse ad aprire, senza chiedere chi fosse. Capii la situazione: Zio Paperone li aveva convocati al deposito, poi si era autoinvitato a cena, ecco perché erano tutti agitati. Quando Zio Paperone entrò in casa, e anche vedere lui fu una grande emozione per me, si voltò verso di me, come se mi vedesse, fu un momento, forse non poteva vedermi, ma sentire la mia presenza forse sì.. invece poi continuò. A differenza di Paperino, era sorridente e allegro, aveva una voce molto profonda , da anziano attore di teatro, anche lui parlava quella lingua impossibile. Cenarono presto, erano le sette di sera e fuori c'era il sole, era estate come da noi, notai che Paperone, sedendosi a capotavola, non diede nessun aiuto nella preparazione della cena, mentre gli altri quattro paperi si davano molto da fare, Era chiaro chi comandava in quella casa. Non so perché, ma ad un certo punto mi annoiai, nei fumetti erano divertenti, dal vivo no, forse se avessi capito quello che dicevano mi sarei intrigato, ma così erano solo quattro paperotti, uno anziano con gli occhiali, uno adulto e tre cuccioli, che mangiavano il pollo (il pollo! cannibalismo?) con le patatine e le verdure, parlavano e bevevano, gli adulti birra i ragazzini una bibita gassata Decisi di andare da Archimede Pitagorico, che era sempre stato il mio personaggio preferito, per qualche tempo l'avevo messo pure come immagine del profilo su Facebook.  

Uscendo dalla casa di Paperino, mi incamminai per la strada osservando le varie villette. Il deposito era sulla collina, ben visibile da ogni punto della città. Avevo modo di vedere l'estensione completa di Paperopoli, come quando si è sulla terrazza di un hotel e si vede tutta la città ai nostri piedi. Dalla zona residenziale dove stava Paperino, le case si infittivano in una sorta di centro, che però non era stretto e denso come quello di Milano, ma c'era sempre molto spazio tra una casa e l'altra. 
La città si sdraiava sopra dei colli e delle colline, uno dei quali era appunto quello di Zio Paperone, dal centro si estendeva in varie direzioni, dalla parte dove stavo scendeva verso la campagna (Nonna Papera?), da quella opposta, verso la costa e il mare. Poteva ricordare una versione in miniatura di Roma, con le sue varie diramazioni nella regione. Non c'era la metropolitana, ma una stazione ferroviaria che però non entrava dentro la città, ma se ne stava soprastante. Vidi anche scarsi mezzi pubblici, anzi solo dei pullman per uscire o entrare dalla città. Tutti usavano le auto... solo che le loro erano delle automobiline, come quelle degli autoscontri, senza sportelli, ci si entrava e si schiacciava il pedale e poi si guidava, ecco perché non c'era bisogno di collegamenti urbani. Era tutto molto ordinato, pulito, per le strade e dentro le case. Trovai facilmente la baracca di Archimede Pitagorico, ed ebbi la fortuna di trovarlo in casa, ma non al lavoro.. era dedito a mangiare con gusto qualcosa che mi sembrò cibo cinese o indiano, asportato da qualche parte. Le sette erano l'ora di cena a Paperopoli, molto americano anche questo. Archimede appariva molto contento e soddisfatto, il suo laboratorio-ufficio-casa era  in una sorta di disordine ordinato, dava un senso di quiete, di lavoro, di persona che ama il suo lavoro e vi si dedica tutto il giorno, una serenità che a casa di Paperino non avevo percepito. Come dicevo, Archimede non è un papero, del resto non tutti a Paperopoli lo sono. rispetto ai paperi visti prima era già più grande e slanciato, diciamo come un cigno rispetto ad un'anatra, infatti la sua casupola aveva un soffitto molto più alto. Rimasi a guardare attentamente Archimede come avevo fatto con Paperino e Paperone prima, l'avreste fatto anche voi, solo che 
lui si voltò verso di me e mi chiese "Who are you?".
Interdetto e spaventato, gli risposi "You can see me?" 
"I can hear your presence. Do you speak english?" 
"Ehm.. Italian?".
 Archimede tornò alla sua cena, che doveva essere molto gustosa, finì di mangiare e poi andò a prendere un apparecchio tra i tanti, sembrava una radio, di quelle di una volta, con mani esperte la collegò ad un microfono e, poi rivolgendosi di nuovo a me disse ancora "Region?" Anche Archimede cominciava a starmi antipatico, ma che cavolo di posto era questa Paperopoli, peggio del Canton Ticino. 
Però risposi "Lombardia, but it's the same, play italian". 
Il preciso Archimede impostò la Lombardia per tradurre la sua lingua nella mia, così che quando parlavamo mi veniva da ridere, mi sembrava di sentire i Legnanesi o Boldi dei tempi d'oro.
                                   In italiano, il nostro discorso fu questo:
AP"Ho studiato a lungo i viaggi astrali, sono uno scienzato finito, mi occupo di tutto. Li faccio anch'io a volte, vado a Topolinia."
AD"Io vado a Firenze, l'anno scorso andavo a Roma di notte dalla mia fidanzata perché mi mancava."
AP"Benvenuto a Paperopoli, visitatore."
AD"E' un piacere conoscervi, leggo sempre le vostre storie."
AP "Già" Archimede sospirò. "Le nostre storie... sono molto divertenti, piacciono ai bambini. Solo che non ci rappresentano veramente."
AD  "Me ne sono accorto. Sono stato da Paperino, prima. Era arrabbiato."
AP  "Lo so, c'è un problema con le vacanze dei nipotini, per mandarli in vacanza Paperino dovrà lavorare tutta l'estate. Allora, forse vanno tutti in missione con Paperone, così almeno viaggiano"
Non avevo capito niente della situazione alla quale avevo assistito prima, a casa di Paperino.
AP  "Sono stato nel tuo mondo, una volta."
AD  "Davvero?"
AP  " Solo come viaggio astrale, se no avrei rischiato la vita. Ho letto più che potevo i fumetti che parlano di noi, non potevo portarli con me. In tutte le vostre case ci sono i fumetti con la nostre storie."
AD  "E' vero. Però, da quel poco che ho visto Paperopoli non mi sembra un posto molto divertente. Molto bello, sicuramente, con il mare, la campagna, le villette, gli alberi, ma asettico, senza cuore. Mi ricorda certe zone dell'Austria."
AP  "A me non era molto piaciuto neanche il vostro mondo. Violentissimo, inquinatissimo, sporco. Tutti che si muovono velocissimi come dei pazzi.  Sei qui da solo un'ora. Oggi è un pomeriggio tranquillo, ma qui succede di tutto. Però non è come nei fumetti che leggete voi. Hai mai visto la tua città in un film? E' diversa da esserci dentro, giusto?"
AD  "Sì." 
Con un cervellone come Archimede Pitagorico non potevo competere. 
AP  "Vuoi che ti faccio da guida mentre sei qui?"

In quel momento il viaggio astrale si è interrotto, mi sono ritrovato sul divano di casa, in un pomeriggio estivo altrettanto tranquillo. Non so perché era caduto il collegamento, forse mi ero innervosito troppo. Il mio primo pensiero fu che, se qualcuno fosse venuto a visitarmi in astrale in quel momento, avrebbe provato la stessa noia della mia a casa di Paperino. Gli uccellini cantavano, ma come attutiti dal caldo. Qualcuno in lontananza canticchiava un motivetto, in quel dormiveglia in cui stavo, mi concentrai su quel canto lontano, finché la riconobbi, era una vecchia canzone di Battiato, chi stava cantando non ricordava le parole e le aveva sostituite con un inglese inventato... dopo il viaggio astrale è come il risveglio dopo un sogno profondo, lento e graduale, così tornai a guardare i fumetti su cui mi ero concentrato. 
Rileggendo quelle storie, pensai che volevo tornarci. Non sono un professionista del viaggio astrale, sicuramente avevo sbagliato qualche passaggio. Mi misi a leggere delle storie di Topolino. Andare a Topolinia? Vedere Pippo!  Però a Paperopoli adesso avevo un amico, in caso di bisogno, e poi mi ero incuriosito.  Rimasi sul divano, riflettendo che da loro ero stato per i un'ora, da noi erano le quattro del pomeriggio quando ero partito, da loro erano le sette, quindi ora erano le otto... ma se cenavano alle sette, come impiegavano la serata?   Perché le storie erano così divertenti, se la vita da loro era così rigida e noiosa? La mia mente era talmente concentrata su Paperopoli che in pochi minuti ci ritornai, ma in un altro punto.

Ero in pieno centro, le macchine scorrevano, finamente ritrovai quella frenesia delle storie. Volli entrare in un negozio, la commessa era un grosso cane, doveva venire da Topolinia, stava parlando con un gallo molto distinto e ben vestito. Ci si abitua a tutto, gradualmente.
Ero entrato nel negozio per vedere quale era la moneta di scambio. Il gallo non comprò niente, forse era un amico della commessa. Finalmente, vidi dei soldi, erano delle banconote, a prima vista potevano sembrare dei dollari, però... erano gialli, erano fasulli, come i soldi del Monopoli, spudoratamente finti. In quel mondo assurdo, dove i paperi abitavano nelle villette, cucinavano il pollo e lavoravano per vivere, dove si circolava con le macchinine giocattolo, pure i soldi erano fasulli. Stavo cominciando a divertirmi, perché mi stavo ambientando o meglio mi stavo sintonizzando con l'ambiente in cui ero. Quello che mi mancava era una storia, un'avventura, stavo assistendo allo status quo di un banale pomeriggio, ma nei fumetti lo status quo è sempre disturbato da un evento, un conflitto per poi essere risolto nella catarsi (Aristotele docet). Senza conflitto, era come essere in un telefilm di Baywatch dove le bagnine stavano per un ora a chiaccherare e a mettersi lo smalto sulle unghie.
 
Continuavo a spostarmi lentamente per le strade, osservando tutto con enorme attenzione: tanti negozi come c'erano una volta in Italia, il panettiere, il salumiere, il calzolaio, il barbiere, nessun supermercato o centro commerciale, c'erano dei ristoranti ma non c'erano bar, o forse non li vidi, un mondo imprigionato nel passato, tanti passanti presi per le loro faccende, prevalenza di paperi, non pochi polli e galline, poi quelli di Topolinia, cani e cavalli, che però stavano ritti ed erano molto più piccoli dei loro simili nostrani. Chissà se erano pendolari che scendevano a Paperopoli la mattina presto, oppure si erano  trasferiti, curioso pensare che se sei un milanese a Roma o viceversa non ti riconoscono per strada, finché non apri bocca, mentre a Paperopoli subito si era identificati per quello che si era. E poi Topolinia, dov'era rispetto a Paperopoli?  A volte i personaggi delle due città si facevano visita, ma non succedeva spesso, mi faceva pensare che le due città non erano così vicine... cercai un'agenzia di viaggi, che trovai facilmente, ed entrai per curiosare, ma fui distratto da un rumore di macchine che frenavano. Tornai sulla strada e vidi.... Topolino e Pippo.
 
Cosa ci facevano a Paperopoli, fu la prima domanda. Poi, osservai le loro figure... Topolino era... un ratto, e cosa doveva essere? Anche se parecchio più grande del normale, una grossa pantegana diciamo, Pippo un piccolo cane con lunghe orecchie ed un corpo sproporzionato, braccia e gambe lunghissime, curvo e allampanato, goffo, invece Topolino, nei limiti del suo essere una pantegana, con una postura distinta e altezzosa. Entrambi vestiti nel modo che sappiamo. Tutti loro dovevano avere tanti vestiti tutti uguali, come Dylan Dog, delle uniformi, quando si sporcava uno dei vestiti lo mandavano in lavanderia e forse qualche volta si confondevano... che mondo pazzesco.
 
Topolino si era fermato in mezzo alla folla, e parlava con loro. Pensai che mi mancava solo la Banda Bassotti, e potevo andare a casa, anche se non mi sarebbe dispiaciuto incontrare Paperoga e Nonna Papera. Fu allora che mi apparve il mio amico, in questo caso il mio maestro, che mi aveva insegnato a fare i viaggi.
"Che fai qui?" mi disse. "Stai facendo un casino!"
Rimasi interdetto, prima di rispondere. 
"Beh... sto facendo un viaggio. Anche tu?"
"Ti ho raggiunto. Stai incasinando questo mondo con la tua presenza. Non ti vedono, ma percepiscono che succede qualcosa. Torna subito a casa. I piani astrali del loro mondo si stanno intersecando. Hanno chiamato Topolino da Topolinia per risolvere il caso."
"Mi piacerebbe stare ancora qui..."
"Per loro e per te, te ne devi andare Rischi di rimanere qui senza tornare. Vai via subito!" mi urlò.
 
E fu così, amici lettori che siete arrivati in fondo alla pagina, che mi ritrovai sul divano, nel mio mondo erano passate diverse ore, ed era sera, si era fatto buio, anche se era una bella sera d'estate. Mi sentivo come se stessi leggendo un libro appassionante e qualcuno me l'avesse strappato e buttato via. Rimasi qualche tempo sul divano, e poi, con un sospiro, chiusi il fumetto e mi alzai per farmi uno dei miei amati nescafé.  
"Non finisce qui", borbottai con la mia tazza in mano, muovendomi per la stanza e parlando da solo come Paperino. 

                                                       1-continua??
 
                                                                                      ( di Andrea Daz, inedito solo online)
 

giovedì 12 gennaio 2012

introduzione a Gargantua e Pantragruel di Francois Rabelais


Mastro (Maitre), come da tutti veniva chiamato, in omaggio alla sua sapienza, Francois Rabelais visse tra il 1483 - 1494 e il 1553. L'anno di nascita è assai incerto, oscillando tra questi anni. Possiamo da subito notare che visse, studiò, lavorò e scrisse in un periodo storico e culturale assai importante, per la Francia e per l'Europa. Viene considerato un umanista, anzi uno degli umanisti francesi più importanti del suo tempo, ma questa definizione gli calza stretta, come vedremo. Più corretto associare la sua opera al filone dell'Anticlassicismo  o Antirinascimento, introdotto nel linguaggio della critica d'arte da Eugenio Battisti nel 1962:

"Con Antirinascimento si indicano tutte quelle correnti anticlassiche, manieriste, espressioniste e allegorico-simboliche che nell'arte e nella letteratura del '500 convivono e si intrecciano con quelle più propriamente classiche dell'ordine razionale, della simmetria e della prospettiva, solitamente indicate col termine rinascimento, le quali rifiutando le norme tematiche e linguistiche, rifiutano l'argomento "alto" come il petrarchismo ("erano i capei d'oro a l'aura sparsi..") e scelgono come argomento tutto ciò che è "basso", come il corpo, il cibo, il vino, sopratutto, contraddistinguendosi, sul piano linguistico, per una grande ricchezza e creatività verbale. L'antirinascimento tende, insomma, alla rivalutazione di tutto il complesso di immagini astrologiche, cosmologiche e a contenuto magico-esoterico e allegorico-simbolico dell'arte e della letteratura del '500 per molto tempo trascurate o svalutate dagli storici dell'arte, ma che oggi sappiamo essere state parte integrante della cultura, dell'universo mentale e della stessa produzione di quasi tutti i maggiori artisti del rinascimento. In questo senso il termine antirinascimento coincide con quello di manierismo, ma nello stesso tempo è più ampio perché  comprende e valorizza anche gli aspetti eccentrici e trasgressivi del capriccioso, del grottesco, del mostruoso e del deforme che hanno caratterizzato l'immaginazione del Cinquecento in aperta polemica con l'idea di ordine, di equilibrio e di decoro del classicismo. 
                                                   " L'antirinascimento: con un appendice di testi inediti, Eugenio Battisti, Garzanti, 1962-1989


Credo sia la mia fascinazione per il barocco, per l'anticlassicismo, per l'anti-manierismo, e quindi anche per il futurismo al quale ho dedicato un lungo studio sfociato in una serie di performances-laboratori, che mi ha fatto interessare a prima vista, a prima lettura di Rabelais e del suo mondo, il primo impatto è stata una frase sentita al liceo, "la substantifique moelle", ovvero, riprendendo la lunga introduzione al Gargantua scritta dall'autore medesimo: 

"Vedeste mai un cane trovare un osso midollato? Il cane è, come dice Platone (Lib. II De Rep.) la bestia più filosofa del mondo. Se l'avete visto avrete potuto osservare con quale devozione lo guata, con qual cura lo vigila, con qual fervore lo tiene, con quale prudenza lo addenta, con quale voluttà lo stritola e con quale passione lo sugge. Perché? Con quale speranza lo studia? Quale bene ne attende? Un po' di midolla e nulla più. Ma quel poco è più delizioso del molto di ogni altra cosa, perché la midolla è alimento elaborato da natura a perfezione, come dice Galeno (III, Facult. Nat. e XI, De usu partium). All'esempio del cane vi conviene esser saggi nel fiutare assaporare e giudicare questi bei libri d'alto sugo, esser leggeri nell'avvicinarli, ma arditi nell'approfondirli. Poi con attenta lettura e meditazione frequente rompere l'osso e succhiarne la sostanziosa midolla, vale a dire il contenuto di questi simboli pitagorici, con certa speranza d'esservi fatti destri e prodi alla detta lettura."

Precisando che dal cane si parla in Repubblica, libro 2 paragrafo 16, è questa una straordinaria dichiarazione d'intenti che anticipa quella che Balzac anteporrà a un'altrettanto maestosa opera, La Comèdie Humaine. E' proprio questo midollo osseo celato tra le pagine che molti studiosi ma anche molti lettori nei secoli hanno cercato di succhiare,  sviscerare. 

"opera aperta ed enciclopedica, capolavoro della letteratura rinascimentale, caratterizzato da una sorprendente molteplicità di episodi, disgressioni filosofiche, filologiche, scientifiche e pedagogiche" (Mario Bonfantini)

Più volte nella vita ho incrociato e sono ritornato a quest'opera immensa, appunto enciclopedica, una sorta di Divina Commedia o di Don Chisciotte che si può leggere d'un fiato oppure consultare come guida a molti percorsi e sottopercorsi di studio, dalla medicina antica alla filologia romanza, dalla storia moderna all'esoterismo, Rabelais mi ha portato ad una rilettura più accorta dell'Asino d'oro di Apuleio, o a riscoprire l'opera del dimenticato Ateneo, inteso come l'autore del Deiponsophistai, mi ha portato ad incuriosirmi di Jacquet de Berchem e di altri musicisti suoi contemporanei da lui più di una volta citati. Per questo, consiglio di accostarsi a quest'opera apparentemente difficile, "senza tema di perdersi nella vertigine della lista" (Umberto Eco) di giochi, canzoni, cibi, passatempi, attività varie, anzi cercando di andare "sotto il velame degli versi strani". 

La divisione in cinque libri è complessa e ancora oggi oggetto di controversie tra gli studiosi, ma anche al lettore più giovane o smaliziato, che si limita a divertirsi con le prime avventure di Gargantua e Pantagruele, non sfugge la differenza di stile e la graduale evoluzione, l'addensarsi dei contenuti.  Il primo libro ha per titolo "La molto orrifica vita di Gargantua padre di Pantagruele", il secondo "Pantagruele restituito al naturale con le sue gesta e prodezze spaventevoli", i seguenti vengono indicati come Terzo, Quarto e Quinto libro. Infatti, la versione per ragazzi, adattata, censurata e molto più breve, propone solo i primi due volumi, con Gargantua e suo figlio Pantagruele, giganti grotteschi ("grotesque" che deriva dall'italiano "grotta" ha avuto la sua diffusione nel linguaggio quotidiano francese a partire da quest'opera, come altre locuzioni e modi di dire, "la gatta frettolosa fa i gattini ciechi" e tanti altri) che si confrontano con il mondo, ma che, a differenza di Gulliver (altro romanzo enciclopedico conosciuto ai più solo nella sua versione edulcorata e ridotta) rifiutano di adattarsi e sottomettersi, anzi è il mondo che dovrà plasmarsi alle loro esigenze, curiosità, capricci (l'uomo del rinascimento appunto). 

Se i primi due volumi sono appunto divertenti, i successivi tre divengono via via sempre più densi di segni, indicazioni, disquisizioni letterarie. Il Terzo Libro, quello che amo di meno anche se non manca certo di spunti di grande interesse, è una riflessione sul matrimonio, se sia necessario, utile o il contrario. Qui, come qualcuno ha notato, ci si dimentica delle dimensioni di Pantagruel, è un gigante ma di erudizione e saggezza, libro questo che sembra di passaggio verso il vero viaggio psichedelico del Quarto Libro, alla ricerca dell'Oracolo come in un film di avventure, attraversando isole e penisole popolate da strani personaggi, viaggiando nel mondo alla rovescia di Bosch, di Bruegel il Vecchio, ma anche di Mordillo, di Jacovitti. Con il Quinto Libro, il viaggio si conclude e il tono cambia ancora, se i primi capitoli (detti dell'Isola Sonante) sono attribuiti definitivamente a Rabelais, la parte centrale appare visibilmente opera di un autore o più autori che abbiano ripreso intuizioni e tracce dello stesso, ma rielaborandole e senza avere la leggerezza e genialità di stile. L'ultima sezione riprende, per non dire che ricopia, le sezioni conclusive dell'Hypnoteromachia Poliphili e L'Asino d'oro di Apuleio, basta confrontare i libri in questione per rendersi conto che si tratta qui non di Rabelais, ma di un anonimo copista senza fantasia, come se al giorno d'oggi qualcuno facesse copiaincolla da Wikipedia, limitandosi a cambiare qualche frase e locuzione.

Iniziato è considerato Rabelais dagli esoterici, allo stesso modo di Dante, ma sicuramente "iniziato" ad una superiore conoscenza e sapienza, alla quale possiamo e dobbiamo attingere. Una fonte inesauribile di spunti, idee e intuizioni, che ha contribuito a formare e modellare il mondo culturale successivo, come gli riconobbe Voltaire che pure non lo prediligeva, proprio come i giganti protagonisti plasmano il mondo a seconda dei loro bisogni, seguendo il motto "fais ce que tu voudrax"  (Andrea Daz)


venerdì 6 gennaio 2012

PARTENDO DA DOVE?


Ho voluto inserire anche questo, che è carino, anche se datato, si capisce anche dal riferimento conclusivo al treno pendolino... certo, non avevo passato l'estate a pensare a questo come scrivevo all'inizio, ma mi era venuto in mente per associazione di idee al mio ritorno da una vacanza a Rimini e mi ero molto documentato poi a casa prima di scriverlo. Ispirato e dedicato ad Achille Campanile e alle sue conferenze sul nulla. (A.D.)




Ci ho pensato tutta l'estate, ed ora vi espongo il risultato delle mie elucubrazioni:  nella nota canzone, Riccardo Cocciante dice testualmente che "andrei a piedi certamente a Bologna per un amico".

La cosa gli fa onore, però quello che mi ha tolto appunto il sonno, in questi lunghi mesi estivi, è: ma partendo da dove? Dalle mappe, possiamo evincere che la distanza da Budrio è di 18,72km in linea d'aria, mentre da Sasso Marconi è sui 17,2 km, entrambe buone distanze, ma niente di sensazionale per un buon camminatore, e se poi volendo fare il furbetto l'amico si ferma una sera a Bologna a casa di Guccini per poi riprendere il cammino e andare da Cocciante?

Vogliamo invece considerare che l'amico voglia partire da più lontano, proprio per sottolineare l'importanza del suo gesto, per esempio da Firenze (107,5 km) o da Roma (ben 378 km), nel quale caso davvero diventa un impresa degna di nota, anche considerando che l'amico si fermi più volte durante il tragitto, del resto non è specificato nel testo la velocità o la durata richiesta, quindi l'amico potrebbe salire a piedi da Roma fermandosi molte volte.

Qui però intervengono altre questioni, per esempio: la camminata avviene in estate o in inverno? l'amico è sano di costituzione, oppure è obeso, cardiopatico, diabetico? Nel quale caso, basterebbe ampiamente una camminata da Casalecchio di Reno (l8,9 km) per dimostrami l'amicizia.Nel caso di obesità dell'amico, potrebbe anche essere una ottima cura dimagrante, perché mantenendo un andatura di 4 km/ora l'amico brucia 150 calorie e 6 grammi di grasso. Camminando invece a 6 km/ora, brucia le stesse calorie in 27 minuti, ma brucia solo 3 grammi di grasso, aumentando il consumo di carboidrati. Solo che il suo peso specifico influisce sull'attrito con l'asfalto, infatti se  la massa di 1Kg peso 1 Kgp il numero che esprime la densità di un corpo in Kg/m3 fornisce anche la misura del suo peso specifico in Kgp/m3.
Ricordiamo però che nel S.I. le forze si misurano in N e non in Kgp. Pertanto, volendo esprimere il peso specifico di un  corpo nel S.I. bisogna moltiplicare per 9.8 il suo valore espresso in Kgp/m3. Ad esempio, il peso specifico dell'asfalto nel S.I. varia da un minimo di 1100 kg/mc ad un massimo di 1500 kg/mc (la variazione del peso specifico dipenda dal fatto che nell'asfalto il contenuto di carbonato di calcio in genere varia tra il 50% e il 90%, mentre quello di bitume naturale si attesta tra il 7% e il 15%; la restante parte è costituita da altri materiali minerali e sostanze volatili).

Ora, se aggiungiamo l'attrito che il camminatore obeso esercita sull'asfalto rapportato al suo peso corporeo ed a condizioni esterne variabili come asfalto ammorbidito dal caldo afoso (come scritto sopra, dal testo di Cocciante non si evince l'importante informazione se l'amico va a piedi in estate o in inverno), tutto questo innesca reazioni nell'organismo che portano a un aumento dell'appetito e quindi al consumo di cibo. E qui si innesta un altro problema, variabile a seconda delle condizioni climatiche esterne: mentre l'amico obeso cammina per raggiungermi, si trova a passare proprio in una delle zone d'Italia note per la buona cucina, tra tortellini, zamponi, cotechini, mortadelle e via andare, temo che, dato che non viene fissato un limite di tempo per arrivare a Bologna, l'amico si fermi troppo spesso ad ogni bar-trattoria lungo il cammino, per raggiungermi forse dopo qualche giorno, più obeso di prima e ubriaco. Nel caso di camminata in inverno, il freddo aiuta a bruciare le calorie acquisite e a dissolvere i fumi del lambrusco, ma in caso di maratona estiva, se avesse voluto sacrificarsi e non mangiare nulla durante il tragitto per darmi una ulteriore dimostrazione di amicizia non richiesta, poi arriva a casa mia a Bologna tutto sudato, stanco, affamato, con le scarpe sporche di asfalto (vedi sopra) ...a questo punto mi conviene?

 E considerando che io non abito a Bologna, bensì a Milano, e quindi per arrivare all'appuntamento sono dovuto andare fino a Bologna e affittare una casa, tra le mie enormi spese e la sua enorme fatica, ne valeva la pena? non era meglio se veniva a Milano con il pendolino e mi invitava in pizzeria??