lunedì 23 gennaio 2012

VIAGGIO ASTRALE A PAPEROPOLI - prima puntata

Voglio ora raccontarvi di dove sono stato l'altro pomeriggio, dovete sapere che da qualche tempo ho preso l'abitudine di fare dei viaggi astrali, seguendo l'insegnamento di un mio amico maestro di yoga, ma lo faccio solo prima di dormire, di solito vado a Firenze, la scorsa estate andavo spesso a Roma, per un motivo che spiegherò più avanti. Non è difficile: devi scegliere un posto che già conosci, e scegliere la strada da dove si vuole iniziare, è come seguire un percorso su Google Street View, solo che si va molto veloci, senza rischio di cadere o farsi male. C'è chi si smarrisce, ma a me non è mai successo, forse perché lo faccio prima di addormentarmi, e poi scivolo in un sonno profondo e felice.

Più difficile è stato il mio ultimo viaggio, mentre mi annoiavo sul divano pensavo che mi sarebbe piaciuto entrare nei fumetti di Topolino, o meglio di Paperino. In fondo, è un mondo che conosciamo tutti, ci è familiare, però non è facile identificarlo. Paperopoli appare come' una città di media grandezza, che nelle storie americane di Carl Barks ricorda la Chicago o la Seattle degli anni '40, ma nelle storie italiane, quelle che tutti leggiamo, è simile a Milano, la città dove il giornalino viene creato, ma con importanti differenze. Una cittadina immersa nel verde e contornata dalle montagne, nello stesso tempo non lontana dal mare, in certe storie si intravede un porto che sembra quello di New York. Il deposito di Zio Paperone è su una collina sovrastante la città, visibile da tutti, la villetta dove abita Paperino è molto vicina, in quanto egli, in diverse storie, ascolta le urla dello zione, e spesso lo raggiunge di corsa o ne è raggiunto. Vicino al deposito di Zio Paperone, c'è un parco dove il suddetto si reca ogni mattina a fare la passeggiata, questo parco assomiglia spudoratamente al Parco Sempione.  Escludendo tutte le città del Centro-Sud e del Nord-Est, che hanno una struttura molto tipica, potrei dire che Paperopoli è stata ideata come una Milano o una Torino più piccola e più verdeggiante, ma con qualcosa di Genova nella la zona portuale. Inoltre Amelia la fattucchiera, che vive sul Vesuvio, spesso va a fare visita al deposito di Paperone, usando la scopa come una freccia rossa, si suppone che non sia così lontana. 

Approfittando di quello stato di torpore estivo in cui i pensieri vanno in letargo, quell'essere assonnati senza dormire, mi concentrai su di una storia di Paperino. Devo dire che, come tanti, ho sempre preferito Paperopoli a Topolinia, immagino la seconda come una città frenetica, ostile, quella davvero più simile a Milano o a New York, per un viaggio di piacere come il mio volevo qualcosa di confortevole, bucolico. Non fu così difficile partire, ci sono riuscito solo al terzo tentativo, considerando che la prima volta mi hanno citofonato e la seconda mi sono distratto con associazioni d'idee. Per scegliere il punto dove atterrare e cominciare il viaggio, ho scelto la strada davanti alla casa di Paperino, ho pensato che con Paperino non avrei mai avuto problemi. Quello che sopratutto mi confuse, al mio arrivo, fu quanto di più banale si potesse credere, ma a cui nessuno o pochi hanno fatto caso. Sono dei paperi. Tranne Archimede Pitagorico che non è un papero, è sempre un uccello di terra, di un'altra razza. A Topolinia sono dei cani e dei topi, ma quelllo è un altro mondo. 
E così la loro città è piccolissima, in miniatura, per l'abilità dei disegnatori che la inquadrano strettamente, usando tecniche simili ai film di fantascienza, dove modellini di navi e di aerei si muovono dentro vasche da bagno mentre noi crediamo che siano in grandezza reale, i bambini e gli adulti che leggono le loro storie le vivono rapportandosi alla città o al paese dove davvero vivono. Come in quei villaggi dove è rappresentata l'Italia o il mondo in miniatura, potevo tranquillamente vedere tutta Paperopoli davanti a me. Le distanze non erano quelle che avevo previsto: ci avevo preso con la vicinanza della casa di Paperino al deposito di Paperone, ma questo solo perché mi ricordavo di una storia dove il nostro si svegliava al sentire delle urla di dolore del suo isterico zione, come a me succedeva quando abitavo, da bambino, molto vicino allo stadio di San Siro e sentivo i boati di felicità dei tifosi quando veniva segnato un goal. Su altre distanze, invece, mi ero proprio sbagliato: rapportandola su scala, Paperopoli era minuscola nelle dimensioni, ma di un'estensione enorme. La villetta di Paperino era in una zona periferica alle soglie della città, come il deposito sulla collina e la casupola-officina di Archimede. In questa zona, che in Lombardia sarebbe stata un quartiere di ricchi, c'erano delle villette a grandi distanza l'una dall'altra, separate ognuna da delle siepi, degli alberi, attraversate da delle strade comode, larghe, dove passavano pochissime auto. Ricordo che nel viaggio astrale, gli abitanti non ci possono vedere, per fortuna mia perché se no si sarebbe creato l'effetto Gulliver, sarei stato un gigante invasore e avrei precipitato la cittadina nel caos, per poi a mia volta fare una brutta fine. 
Era un pomeriggio d'estate pure a Paperopoli, e, trovandomi nella strada di fronte alla villetta, la mia curiosità era quella che chiunque avrebbe avuto: vedere Paperino dal vivo! Mentre mi avvicinavo alla sua casa, sempre nel solito modo di muoversi dei viaggi astrali, stando perfettamente fermo con il corpo, ma muovendomi su di un tragitto predefinito, come portato da scale mobili invisibili, riflettevo su quanto era strana l'esistenza di quel posto: dei paperi che guidano delle piccole automobili, vanno al lavoro, hanno problemi di soldi, vanno in vacanza e se non ci vanno si scocciano. Dei paperi che hanno delle casette in miniatura dove cucinano frittelle, studiano e lavorano, telefonano, guardano la tv... Dopo essere passato dal giardino deserto, entrai nella villetta di Paperino, riconoscendola con piacere: tipica villetta a due piani, all'americana, come quella della famiglia di Happy Days, una cucina, un grande salotto, una sala più piccola, al piano superiore le camere da letto... per essere un disoccupato squattrinato, Paperino viveva come un borghese italiano, è vero che tutto era pagato dallo Zio Paperone. Vidi il divano, dove Paperino spesso amava passare i pomeriggi, vicino al divano il telefono col quale iniziavano le sue avventure. In casa non c'era nessuno, forse erano tutti al deposito oppure in qualche avventura esotica. Rimasi colpito dall'ordine e dalla pulizia della casa, per essere un pigrone casinista Paperino teneva la sua abitazione ottimamente, o forse aveva qualcuno che passava a fargli le pulizie... quando li sentii tornare.

Irrazionalmente, fui preso dal panico, di solito nei miei viaggi astrali andavo per le città, oppure se entravo nelle case lo facevo da persone che conoscevo e che mi volevano bene, come la mia ex-fidanzata che spesso andavo a trovare nel suo bilocale a San Giovanni e che in qualche modo, forse per stregoneria femminile, percepiva la mia presenza quando mi sdraiavo di notte sul materasso accanto a lei, una volta mi ha pure parlato... ma non divaghiamo. Dicevo che non potevano vedermi, quindi non c'era modo di essere spaventati, in fondo quante volte siamo tutti entrati in casa loro leggendo il fumetto, ma spaventato non è la parola giusta, diciamo emozionato,  finalmente li avrei visti. E poi, come parla Paperino? Nei cartoni animati, fa quei versi che tutti imitano, ma nei fumetti parla, si esprime come una persona, forse non dice mai cose di grande intelligenza, ma parla normalmente. Sentii parcheggiare la macchina, la 313! girare la chiave di casa ed entrare, mentre parlava con i nipotini. Le dimensioni appunto. Avete mai pranzato sul lungolago, quando le anatre salgono sulla riva e vengono a mendicare qualcosa da mangiare da voi? Ecco, le dimensioni erano quelle, quattro paperotti, uno grosso e i tre pargoletti, però parlavano... non facevano versi, capivo che parlavano, però non in italiano, era una lingua loro. Paperino, sempre molto ordinato, appena entrato si tolse il berrettino da marinaio e lo appese ad un'ancia dell'armadio a muro. Dovevano avere litigato, perché i tre paperottini corsero al piano di sopra. Paperino come al solito era incazzato e parlò da solo per qualche tempo, poi andò in cucina. Era proprio lui, come mi dispiaceva non poterlo salutare, non potergli parlare!  Ed era piccolino, un animaletto, se avessi avuto fisicità avrei picchiato con la testa sul soffitto della sua bella casa. Forse ero passato in un momento difficile, ma mi sembrava meno simpatico di come tutti se lo immaginano, inoltre mi sembrava molto autoritario con i suoi nipotini. Seguii invisibile in cucina, mentre cucinava con la sua nota maestria notai che continuava a parlare da solo, ma come se stesse parlando con qualcuno. Erano i suoi monologhi del resto, che in un fumetto non sembrano strani, come non sembra strano che un papero stia cucinandoo un pollo con le patatine e aromi vari. In effetti, erano molto americani, ora che c'ero dentro, altro che Milano, mi ero proprio sbagliato. Villette a due piani divise dalle siepi, classi sociali ben distinte, stile di vita rigido... USA. Però, l'amore col quale stava preparando la cena ai suoi nipoti contrastava con i suoi modi incazzosi. Suonò il campanello, e uno dei nipotini, il paperotto col berrettino blu, credo, perché ora in casa erano senza berretto, corse ad aprire, senza chiedere chi fosse. Capii la situazione: Zio Paperone li aveva convocati al deposito, poi si era autoinvitato a cena, ecco perché erano tutti agitati. Quando Zio Paperone entrò in casa, e anche vedere lui fu una grande emozione per me, si voltò verso di me, come se mi vedesse, fu un momento, forse non poteva vedermi, ma sentire la mia presenza forse sì.. invece poi continuò. A differenza di Paperino, era sorridente e allegro, aveva una voce molto profonda , da anziano attore di teatro, anche lui parlava quella lingua impossibile. Cenarono presto, erano le sette di sera e fuori c'era il sole, era estate come da noi, notai che Paperone, sedendosi a capotavola, non diede nessun aiuto nella preparazione della cena, mentre gli altri quattro paperi si davano molto da fare, Era chiaro chi comandava in quella casa. Non so perché, ma ad un certo punto mi annoiai, nei fumetti erano divertenti, dal vivo no, forse se avessi capito quello che dicevano mi sarei intrigato, ma così erano solo quattro paperotti, uno anziano con gli occhiali, uno adulto e tre cuccioli, che mangiavano il pollo (il pollo! cannibalismo?) con le patatine e le verdure, parlavano e bevevano, gli adulti birra i ragazzini una bibita gassata Decisi di andare da Archimede Pitagorico, che era sempre stato il mio personaggio preferito, per qualche tempo l'avevo messo pure come immagine del profilo su Facebook.  

Uscendo dalla casa di Paperino, mi incamminai per la strada osservando le varie villette. Il deposito era sulla collina, ben visibile da ogni punto della città. Avevo modo di vedere l'estensione completa di Paperopoli, come quando si è sulla terrazza di un hotel e si vede tutta la città ai nostri piedi. Dalla zona residenziale dove stava Paperino, le case si infittivano in una sorta di centro, che però non era stretto e denso come quello di Milano, ma c'era sempre molto spazio tra una casa e l'altra. 
La città si sdraiava sopra dei colli e delle colline, uno dei quali era appunto quello di Zio Paperone, dal centro si estendeva in varie direzioni, dalla parte dove stavo scendeva verso la campagna (Nonna Papera?), da quella opposta, verso la costa e il mare. Poteva ricordare una versione in miniatura di Roma, con le sue varie diramazioni nella regione. Non c'era la metropolitana, ma una stazione ferroviaria che però non entrava dentro la città, ma se ne stava soprastante. Vidi anche scarsi mezzi pubblici, anzi solo dei pullman per uscire o entrare dalla città. Tutti usavano le auto... solo che le loro erano delle automobiline, come quelle degli autoscontri, senza sportelli, ci si entrava e si schiacciava il pedale e poi si guidava, ecco perché non c'era bisogno di collegamenti urbani. Era tutto molto ordinato, pulito, per le strade e dentro le case. Trovai facilmente la baracca di Archimede Pitagorico, ed ebbi la fortuna di trovarlo in casa, ma non al lavoro.. era dedito a mangiare con gusto qualcosa che mi sembrò cibo cinese o indiano, asportato da qualche parte. Le sette erano l'ora di cena a Paperopoli, molto americano anche questo. Archimede appariva molto contento e soddisfatto, il suo laboratorio-ufficio-casa era  in una sorta di disordine ordinato, dava un senso di quiete, di lavoro, di persona che ama il suo lavoro e vi si dedica tutto il giorno, una serenità che a casa di Paperino non avevo percepito. Come dicevo, Archimede non è un papero, del resto non tutti a Paperopoli lo sono. rispetto ai paperi visti prima era già più grande e slanciato, diciamo come un cigno rispetto ad un'anatra, infatti la sua casupola aveva un soffitto molto più alto. Rimasi a guardare attentamente Archimede come avevo fatto con Paperino e Paperone prima, l'avreste fatto anche voi, solo che 
lui si voltò verso di me e mi chiese "Who are you?".
Interdetto e spaventato, gli risposi "You can see me?" 
"I can hear your presence. Do you speak english?" 
"Ehm.. Italian?".
 Archimede tornò alla sua cena, che doveva essere molto gustosa, finì di mangiare e poi andò a prendere un apparecchio tra i tanti, sembrava una radio, di quelle di una volta, con mani esperte la collegò ad un microfono e, poi rivolgendosi di nuovo a me disse ancora "Region?" Anche Archimede cominciava a starmi antipatico, ma che cavolo di posto era questa Paperopoli, peggio del Canton Ticino. 
Però risposi "Lombardia, but it's the same, play italian". 
Il preciso Archimede impostò la Lombardia per tradurre la sua lingua nella mia, così che quando parlavamo mi veniva da ridere, mi sembrava di sentire i Legnanesi o Boldi dei tempi d'oro.
                                   In italiano, il nostro discorso fu questo:
AP"Ho studiato a lungo i viaggi astrali, sono uno scienzato finito, mi occupo di tutto. Li faccio anch'io a volte, vado a Topolinia."
AD"Io vado a Firenze, l'anno scorso andavo a Roma di notte dalla mia fidanzata perché mi mancava."
AP"Benvenuto a Paperopoli, visitatore."
AD"E' un piacere conoscervi, leggo sempre le vostre storie."
AP "Già" Archimede sospirò. "Le nostre storie... sono molto divertenti, piacciono ai bambini. Solo che non ci rappresentano veramente."
AD  "Me ne sono accorto. Sono stato da Paperino, prima. Era arrabbiato."
AP  "Lo so, c'è un problema con le vacanze dei nipotini, per mandarli in vacanza Paperino dovrà lavorare tutta l'estate. Allora, forse vanno tutti in missione con Paperone, così almeno viaggiano"
Non avevo capito niente della situazione alla quale avevo assistito prima, a casa di Paperino.
AP  "Sono stato nel tuo mondo, una volta."
AD  "Davvero?"
AP  " Solo come viaggio astrale, se no avrei rischiato la vita. Ho letto più che potevo i fumetti che parlano di noi, non potevo portarli con me. In tutte le vostre case ci sono i fumetti con la nostre storie."
AD  "E' vero. Però, da quel poco che ho visto Paperopoli non mi sembra un posto molto divertente. Molto bello, sicuramente, con il mare, la campagna, le villette, gli alberi, ma asettico, senza cuore. Mi ricorda certe zone dell'Austria."
AP  "A me non era molto piaciuto neanche il vostro mondo. Violentissimo, inquinatissimo, sporco. Tutti che si muovono velocissimi come dei pazzi.  Sei qui da solo un'ora. Oggi è un pomeriggio tranquillo, ma qui succede di tutto. Però non è come nei fumetti che leggete voi. Hai mai visto la tua città in un film? E' diversa da esserci dentro, giusto?"
AD  "Sì." 
Con un cervellone come Archimede Pitagorico non potevo competere. 
AP  "Vuoi che ti faccio da guida mentre sei qui?"

In quel momento il viaggio astrale si è interrotto, mi sono ritrovato sul divano di casa, in un pomeriggio estivo altrettanto tranquillo. Non so perché era caduto il collegamento, forse mi ero innervosito troppo. Il mio primo pensiero fu che, se qualcuno fosse venuto a visitarmi in astrale in quel momento, avrebbe provato la stessa noia della mia a casa di Paperino. Gli uccellini cantavano, ma come attutiti dal caldo. Qualcuno in lontananza canticchiava un motivetto, in quel dormiveglia in cui stavo, mi concentrai su quel canto lontano, finché la riconobbi, era una vecchia canzone di Battiato, chi stava cantando non ricordava le parole e le aveva sostituite con un inglese inventato... dopo il viaggio astrale è come il risveglio dopo un sogno profondo, lento e graduale, così tornai a guardare i fumetti su cui mi ero concentrato. 
Rileggendo quelle storie, pensai che volevo tornarci. Non sono un professionista del viaggio astrale, sicuramente avevo sbagliato qualche passaggio. Mi misi a leggere delle storie di Topolino. Andare a Topolinia? Vedere Pippo!  Però a Paperopoli adesso avevo un amico, in caso di bisogno, e poi mi ero incuriosito.  Rimasi sul divano, riflettendo che da loro ero stato per i un'ora, da noi erano le quattro del pomeriggio quando ero partito, da loro erano le sette, quindi ora erano le otto... ma se cenavano alle sette, come impiegavano la serata?   Perché le storie erano così divertenti, se la vita da loro era così rigida e noiosa? La mia mente era talmente concentrata su Paperopoli che in pochi minuti ci ritornai, ma in un altro punto.

Ero in pieno centro, le macchine scorrevano, finamente ritrovai quella frenesia delle storie. Volli entrare in un negozio, la commessa era un grosso cane, doveva venire da Topolinia, stava parlando con un gallo molto distinto e ben vestito. Ci si abitua a tutto, gradualmente.
Ero entrato nel negozio per vedere quale era la moneta di scambio. Il gallo non comprò niente, forse era un amico della commessa. Finalmente, vidi dei soldi, erano delle banconote, a prima vista potevano sembrare dei dollari, però... erano gialli, erano fasulli, come i soldi del Monopoli, spudoratamente finti. In quel mondo assurdo, dove i paperi abitavano nelle villette, cucinavano il pollo e lavoravano per vivere, dove si circolava con le macchinine giocattolo, pure i soldi erano fasulli. Stavo cominciando a divertirmi, perché mi stavo ambientando o meglio mi stavo sintonizzando con l'ambiente in cui ero. Quello che mi mancava era una storia, un'avventura, stavo assistendo allo status quo di un banale pomeriggio, ma nei fumetti lo status quo è sempre disturbato da un evento, un conflitto per poi essere risolto nella catarsi (Aristotele docet). Senza conflitto, era come essere in un telefilm di Baywatch dove le bagnine stavano per un ora a chiaccherare e a mettersi lo smalto sulle unghie.
 
Continuavo a spostarmi lentamente per le strade, osservando tutto con enorme attenzione: tanti negozi come c'erano una volta in Italia, il panettiere, il salumiere, il calzolaio, il barbiere, nessun supermercato o centro commerciale, c'erano dei ristoranti ma non c'erano bar, o forse non li vidi, un mondo imprigionato nel passato, tanti passanti presi per le loro faccende, prevalenza di paperi, non pochi polli e galline, poi quelli di Topolinia, cani e cavalli, che però stavano ritti ed erano molto più piccoli dei loro simili nostrani. Chissà se erano pendolari che scendevano a Paperopoli la mattina presto, oppure si erano  trasferiti, curioso pensare che se sei un milanese a Roma o viceversa non ti riconoscono per strada, finché non apri bocca, mentre a Paperopoli subito si era identificati per quello che si era. E poi Topolinia, dov'era rispetto a Paperopoli?  A volte i personaggi delle due città si facevano visita, ma non succedeva spesso, mi faceva pensare che le due città non erano così vicine... cercai un'agenzia di viaggi, che trovai facilmente, ed entrai per curiosare, ma fui distratto da un rumore di macchine che frenavano. Tornai sulla strada e vidi.... Topolino e Pippo.
 
Cosa ci facevano a Paperopoli, fu la prima domanda. Poi, osservai le loro figure... Topolino era... un ratto, e cosa doveva essere? Anche se parecchio più grande del normale, una grossa pantegana diciamo, Pippo un piccolo cane con lunghe orecchie ed un corpo sproporzionato, braccia e gambe lunghissime, curvo e allampanato, goffo, invece Topolino, nei limiti del suo essere una pantegana, con una postura distinta e altezzosa. Entrambi vestiti nel modo che sappiamo. Tutti loro dovevano avere tanti vestiti tutti uguali, come Dylan Dog, delle uniformi, quando si sporcava uno dei vestiti lo mandavano in lavanderia e forse qualche volta si confondevano... che mondo pazzesco.
 
Topolino si era fermato in mezzo alla folla, e parlava con loro. Pensai che mi mancava solo la Banda Bassotti, e potevo andare a casa, anche se non mi sarebbe dispiaciuto incontrare Paperoga e Nonna Papera. Fu allora che mi apparve il mio amico, in questo caso il mio maestro, che mi aveva insegnato a fare i viaggi.
"Che fai qui?" mi disse. "Stai facendo un casino!"
Rimasi interdetto, prima di rispondere. 
"Beh... sto facendo un viaggio. Anche tu?"
"Ti ho raggiunto. Stai incasinando questo mondo con la tua presenza. Non ti vedono, ma percepiscono che succede qualcosa. Torna subito a casa. I piani astrali del loro mondo si stanno intersecando. Hanno chiamato Topolino da Topolinia per risolvere il caso."
"Mi piacerebbe stare ancora qui..."
"Per loro e per te, te ne devi andare Rischi di rimanere qui senza tornare. Vai via subito!" mi urlò.
 
E fu così, amici lettori che siete arrivati in fondo alla pagina, che mi ritrovai sul divano, nel mio mondo erano passate diverse ore, ed era sera, si era fatto buio, anche se era una bella sera d'estate. Mi sentivo come se stessi leggendo un libro appassionante e qualcuno me l'avesse strappato e buttato via. Rimasi qualche tempo sul divano, e poi, con un sospiro, chiusi il fumetto e mi alzai per farmi uno dei miei amati nescafé.  
"Non finisce qui", borbottai con la mia tazza in mano, muovendomi per la stanza e parlando da solo come Paperino. 

                                                       1-continua??
 
                                                                                      ( di Andrea Daz, inedito solo online)
 

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